Dal NUMERO 26 (13 - 16 settembre 2007) di "VIDEOHIFI.COM" - hifi & video internet magazine fondata e diretta da Bebo Moroni

Accustic Arts DAC1 MK4 di Igor Zamberlan

Accustic Arts non è un marchio particolarmente noto, qui da noi. Si tratta di un marchio commerciale di un’azienda che si chiama Schunk Audio Engineering, tedesca — d’altra parte nessun anglosassone userebbe quell’Accustic con due c — di Lauffen am Neckar, nel Baden-Wurttenberg.
Gli apparecchi di Accustic Arts si vedono in molte fiere italiane, portati dal simpatico e disponibile distributore esclusivo, Martino Carucci, che importa anche altri marchi come Antique Sound Labs e Acoustic Solid (e Trigon). Sono apparecchi dall’aspetto molto teutonico, ben costruiti, ben finiti, pur se non esteticamente originalissimi, robusti e piuttosto tecnologici nell’aspetto. E anche, direi, nella sostanza. I rapporti qualità/quantità/prezzo sembrano piuttosto favorevoli, soprattutto in considerazione del fatto che gli apparecchi paiono essere interamente progettati e costruiti in Germania, nazione dove la manodopera non è certo a basso costo. Il marchio, certo, non è di quelli storici e l’estetica, curata ma un po’, come dire, fredda, sicuramente non giova all’appeal degli apparecchi. Certo la costruzione pare molto curata, ma non si tratta di oggetti che facciano del design uno dei loro motivi di essere, ecco. E gli amplificatoroni hanno un che di macho che lascia, a prima vista, un po’ perplessi, che fa temere un suono tutto cattiveria e niente finezza. Poi, però, basta ascoltare con attenzione le dimostrazioni di Carucci per rendersi conto che così non è, e che il buon Martino riesce ad ottenere sempre suoni credibili e con note di finezza e dolcezza, ma i preconcetti sono duri a morire.

L’apparecchio in prova
MK4 vuol dire che questa è la quarta versione del DAC Accustic Arts. Quattro versioni non sono poche, ma il campo delle tecnologie digitali, soprattutto se si è un’azienda che cerca di non applicare datasheet ma di fare qualcosa di innovativo, è piuttosto dinamico. E Accustic Arts aveva già creato una versione MK3 in cui utilizzava tecnologie custom (o tecnologie disponibili anche ad altri, ma usate in modo innovativo: non sono riuscito a capire bene), in particolare un accumulatore a 32 bit e un sovracampionamento/upsampling a 768kHz.

Stavolta, nell’apparecchio in prova c’è scritto, sul frontale, 66bit/1536kHz. E veniamo ai punti dolenti di questa mia prova. Devo confessare un totale fallimento nell’analisi tecnica. Non ho capito cosa succeda all’interno del DAC1 MK4, anche perché i principali integrati, quelli della parte digitale, hanno le sigle rigorosamente (e ben) limate via.

Mi sarei aspettato di trovare un DSP o un FPGA in ingresso, dopo il digital input receiver, quando sono infine riuscito ad aprire la macchina. Il DIR pare esserci, ma non si capisce quale sia; sopo di lui ci sono due clock, uno a 24.576 MHz e uno a 30 MHz, che parrebbero essere collegati ad un chip che non sembra poter essere né un FPGA né un DSP, dato che mi pare troppo piccolo per far parte di una delle due categorie. Boh. Il segnale sembra quindi andare ad una coppia di DAC che potrebbero essere di un qualsiasi costruttore; dal numero di pin e dal tipo, potrebbero essere dei delta-sigma o degli ibridi (non sono i PCM1704 multibit usati nella versione precedente, di questo sono abbastanza certo: potrebbero essere dei Burr Brown della famiglia dei 1794/1798, ma il mio è solo un tentativo di indovinare, non ho elemento alcuno). Da qualche parte ho trovato scritto che sarebbero utilizzati dei chip multicanale messi in parallelo. Mi risulta che questo sia assolutamente vero per il lettore integrato di Accustic Arts, ma quel che ho visto qui non mi pare possa confermare una simile architettura. Comunque, sto inoltrando alcune domande ad Accustic Arts; se ci saranno sviluppi e risposte, ve lo farò sapere.

Quello che mi ha un po’ stupito, soprattutto dopo aver ascoltato la macchina, è stato il tipo di operazionali di uscita utilizzati. Si tratta di TLE2142, operazionali Burr Brown non recentissimi, dalle prestazioni e dal prezzo decisamente inferiori rispetto a quelli di un OPA627, rispetto ai quali tuttavia hanno la caratteristica di poter lavorare in modo sicuro ad una tensione di alimentazione superiore di quasi il 50% per ramo. Si tratta di operazionali duali, i cui due canali parrebbero usati nel DAC Accustic Arts come rami di ciascun percorso del segnale bilanciato. Sono, mi pare, gli unici dispositivi attivi sul percorso del segnale analogico. Il loro numero è sufficiente, appunto, per ipotizzare che siano utilizzati anche come stadi di conversione corrente/tensione di un DAC con uscita in corrente, come i Burr Brown sopra menzionati. D’altra parte, le misure dichiarate del DAC sono decisamente interessanti, quindi la mia ipotesi relativa all’utilizzo di chip di conversione DA recenti tiene.

L’alimentazione appare robusta (per i collezionisti di dati, 60.000 microfarad), stabilizzata e curata.

Il DAC ha diversi ingressi digitali (ottico, RCA, BNC, AES/EBU) ed uscite sia bilanciate che sbilanciate; le versioni precedenti prevedevano due apparecchi distinti, e di costo diverso, per il bilanciato e lo sbilanciato. Questa distinzione mi pare superata dal nuovo modello, che esiste solo in questa versione. L’ascolto ci dirà se siano preferibili le uscite bilanciate o quelle sbilanciate.

Setup e suono
Due meccaniche, principalmente: quelle di cui vi parlo in Digitalia. Cavi digitali vari (White Gold in primis), cavi di alimentazione vari (l’apparecchio è sensibile, ma non ipersensibile, alla qualità del cavo di alimentazione), cavi di segnale Shunyata, AudioClass, White Gold e Monster Sigma 2000 (l’unico XLR di qualità che ho in casa in questo momento). Pre Uesugi, col suo ingresso XLR a trasformatore; finali Pass, Threshold, Luxman; diffusori Quad ESL988 e Merlin VSM MMe.

Credo ci siano due tipi di grandi apparecchi: quelli che ti lasciano subito a bocca aperta, e quelli che a tutta prima non paiono colpirti in nulla. Tutt’e due i tipi hanno in comune il fatto che, dopo qualche tempo, l’idea della loro grandezza si afferma o rimane.

Il DAC1 Mk4 è un grande apparecchio della seconda categoria. La prima impressione può anzi essere — per me è stata — un po’, come dire, anodina. Appena l’ho acceso, notando peraltro un comportamento strano dello stand-by, che pare non disabilitare gli ingressi digitali (il manuale pare dire di non lasciare il DAC a lungo in posizione di stand-by, fra l’altro), non mi ha colpito. Non sapevo, però, se interpretare la cosa come un buon segno, come un cattivo segno o semplicemente come la necessità, che mi era stata segnalata dal distributore, di un certo periodo di rodaggio, dato che la macchina era praticamente intonsa.

L’ho fatta suonare per un po’, cominciando via via ad apprezzarla. Affidabile e neutra, pensavo. Dopo qualche giorno, dopo una o due settimane diciamo, in cui l’ho usato quasi ininterrottamente, ho cominciato ad ammirarlo. Quasi completamente inudibile, a questo punto. Ed è un complimento. Che però mi avrebbe lasciato con un problema: come parlarne, cosa raccontare. Che vi avrei detto, che non l’ho sentito? Mi sarei arrampicato sugli specchi del "quasi"? O forse — a quel punto era vero — vi avrei parlato di un ottimo apparecchio, privo però di una sua personalità?

Per fortuna, ce n’era ancora. L’ho lasciato andare ancora un pochino (è bello avere a che fare con operatori come Carucci, che non mettono fretta al recensore per la restituzione: non è da tutti…) ed è venuto fuori di più. Intanto una personalità precisa: quella di un apparecchio molto trasparente, dinamico, con una grana compatta, fine, impalpabile, un basso solido ed articolato e una punta, giusto una punta, di seducente dolcezza in gamma alta e altissima. Un apparecchio, insomma, con un suono presente e definito, ma senza nessun eccesso "teutonico", come qualcuno, vista la provenienza, avrebbe potuto temere sulla carta.

La scena acustica, ben tridimensionale, è larga (forse non larghissima, ma decisamente larga) e profonda. Poi ci torno.

Il colore timbrico non è romantico, non è spinto a livelli di saturazione incredibili. E’ tuttavia estremamente corretto e credibile. Peraltro, il distributore mi ha detto (e vista la sua correttezza, non ho motivo di non credergli) che, con una meccanica più "polposa" delle mie Pioneer, tipo la Philips CDPRO2M utilizzata nel Drive di Accustic Arts, il suono assume maggior spinta sul mediobasso, romanticizzandosi, diventando più "musicale" in senso comune.

Comunque, arrivati a questo punto il DAC cominciava sinceramente a piacermi, e pure parecchio. Era giunta l’ora di qualche confronto, diretto e a memoria (e qui chiedo di fare attenzione: ho restituito il Lector e ho il dCS in panne, mi resta l’Altmann col quale tutt’e due sono stati confrontati). Vediamo.

Il dCS è una delle migliori macchine digitali che son passate da casa mia. Ha molti pregi e qualche punto meno ideale, che personalmente indicherei nella risposta in frequenza (con la mia meccanica stabile, la Pioneer/DVDUpgrades almeno) lievemente crescente verso l’alto, in una sensazione di dinamica "timida" se non si azzecca il volume corretto per riprodurre ciascun disco, in un’impostazione generale (e questo, per alcuni, potrebbe essere un pregio) che pare diretta più al cervello che al cuore. Il Lector, per certi versi, sta nel campo opposto: dinamica esplicita, un suono che potrebbe essere definito leggermente scuro, bada forse più al cuore che alla testa. L’Altmann è una stranezza, che pare badare direttamente proprio al cuore della musica, tralasciando quasi tutto il resto. Il suo colore timbrico è da primato, quasi tutto il resto non è confrontabile coi riferimenti; ma, pur non essendo il tipo di oggetto che si apprezza nei confronti diretti, nei parametri che si analizzano, è talmente piacevole ascoltarci musica che, dopo qualche ora, se va lui ci si scorda del fatto che si possono avere più dinamica, più risoluzione, più dettaglio, più estensione, eccetera: si ascolta, e basta. Considero tutt’e tre, per motivi diversi, i migliori DAC che mi è capitato di ascoltare. Il Lector è forse quello col miglior rapporto qualità-prezzo, fra i tre, dato che l’Altmann è praticamente fuori concorso, pur costando meno: arriva non troppo lontano dal dCS come prestazione "tecnica", comunica (a me) di più l’essenza della musica. Peccato che la versione che ho provato non mi permettesse di utilizzare i SACD convertiti in PCM come gli altri, perché limitata a 48 kHz di frequenza di campionamento. Forse ci saranno novità a breve.

L’Accustic Arts? Dinamicamente mi pare sotto l’affermatività (neologismo bovino) del Lector; dal punto di vista delle dimensioni della scena mi pare, soprattutto per profondità — da sogno in quel caso —, superato con un buon margine dal dCS. Come grana, l’Accustic Arts è al livello del dCS. Se ci sono delle differenze, mi è difficile trovarle senza poter fare un confronto diretto. Presenza e capacità di far rilevare la tridimensionalità di strumenti e strumentisti sono pari a quelle del Lector, e — mi pare — superiori a tutti gli altri. Sulla ricchezza timbrica, mi pare che il tedesco improbabile (l’Altmann) abbia un suo vantaggio, ma quello fa le cose a modo suo. Pure parecchio.

Insomma, l’Accustic Arts ha un equilibrio diverso da quello dei tre riferimenti utilizzati, ma ha un suo equilibrio estremamente credibile. Lo metterei, con gli altri tre, nel mio personale ristretto gruppo di convertitori DA di qualità eccelsa. E, forse, è il più universale dei tre.

Mi restano due cose da raccontarvi. La prima è relativa alle uscite bilanciate. Il confronto può essere squalificato, per alcuni, a causa del fatto che non ho usato gli stessi cavi e a causa della diversa architettura del mio pre per il percorso del segnale bilanciato (che passa attraverso trasformatori) e sbilanciato (che va diretto alle valvole). Ma fate conto che le impressioni di cui sopra valgono per l’uscita bilanciata, con la quale il DAC1 pare acquistare in dinamica e presenza.

L’altra è che, ad un certo punto, durante questa prova, ho avuto un’epifania sonora. Come vi racconto nella loro recensione, con le Merlin ho provato diverse amplificazioni. L’impianto assemblato in quel momento era costituito dalla Pioneer/Audiopraise, settata a 88.2/24, dall’Accustic Arts, dallo Uesugi e dai Luxman. Beh, ne è scaturito uno dei migliori suoni che abbiano graziato il mio ambiente di ascolto. C’era praticamente tutto; per una volta, non ho rimpianto il fatto di non potermi acquistare il pre Viola di cui al numero precedente. Sì, davvero notevole.

In guisa di conclusione
Il miglior DAC del mondo? No, obiettivamente non credo. Ci sono altre scelte possibili, ci sono apparecchi che nel complesso sono superiori. Però, sinceramente, considerando prezzo, prestazioni, presentazione, costruzione e tutto, credo che un DAC come questo sia "migliore" abbastanza per pressoché qualsiasi sistema. Ha una sua impostazione, che spero di essere riuscito a farvi comprendere; tenendola presente, credo che difficilmente questo convertitore possa diventare il collo di bottiglia di un impianto, anche ai livelli più alti. Considerando che costa 4050 Euro, e non 14050 o 40500, potete capire che ho concluso la prova con una grande considerazione per l’apparecchio, per chi l’ha progettato e per chi lo distribuisce.

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